Stemma Araldico
Nel 1988 è stato approvato il nuovo stemma araldico in forma di scudo sannitico inquartato che, oltre a costituire lo scudetto per l’Accademia, ne sintetizza le tradizioni.
Il grifone d’oro in campo verde, che impugna con la zampa anteriore sinistra la spada d’argento, simboleggia la custodia e la vigilanza sia delle fortune proprie sia dello Stato. La rappresentazione dell’animale più forte (il leone) e del più nobile della terra (l’aquila) vuole indicare la perfezione e la potenza. La spada impugnata è simbolo dello status militare, della vigilanza e della preparazione militare. L’abbinamento dei colori oro e verde, che sono espressione di gioventù, onore, cortesia, civiltà, richiama, al di là della simbologia, i colori del Corpo.
La torre d’oro merlata è contrassegno di antica nobiltà e, allegoricamente, simboleggia la giustizia e la tradizione militare; inoltre, nel caso specifico, la torre richiama le caratteristiche della torre di Caserta, città che ha ospitato la prima sede dell’Accademia. Le cime montuose (in argento), ai piedi della torre, richiamano le origini del Corpo, nato in montagna come Corpo incaricato della vigilanza dei confini, e il loro numero (quattro) sintetizza le difficoltà del superamento degli originari quattro anni accademici.
Lo scudo è sormontato da una corona turrita formata da un cerchio, rosso all’interno, con due cordonate a muro sui margini, sostenente otto torri (cinque visibili).
Le torri, che presentano foggia rettangolare e dieci merli alla guelfa, sono munite di una porta e di una sola finestra e sono riunite da cortine di muro, ciascuna finestrata di uno. Il tutto è d’oro e murato di nero
Sulla lista bifida e svolazzante d’oro, è presente il motto dell’Accademia in lettere maiuscole in nero “MONITI MELIORA SEQUAMUR”:
“ATTRAVERSO L’ISTRUZIONE CONSEGUIREMO IL MEGLIO”.
La vita dell’Accademia della Guardia di Finanza è caratterizzata da numerosi eventi, circostanze e cerimonie che affondano le loro radici nel tempo nell’ottica di tramandare, di generazione in generazione, i massimi valori etici, morali e spirituali su cui si deve fondare lo “status” di Ufficiale.
Tra questi eventi, si ricordano:
La consegna della Sciarpa Azzurra
L’origine di questo capo dell’uniforme risale al 1572, quando fu reso obbligatorio per tutti gli Ufficiali dal Duca Emanuele Filiberto di Savoia.
La cerimonia di investitura degli Ufficiali, all’epoca della monarchia, consisteva nella consegna materiale della Sciarpa Azzurra da parte del Re ai suoi nuovi Ufficiali. In Accademia, viene consegnata all’Ufficiale Allievo dal Comandante Generale della Guardia di Finanza, a testimonianza dell’investitura a neo-Ufficiale. La Sciarpa Azzurra, dalla tonalità turchino nel cromatismo che riprende il blu di Casa Savoia, viene indossata sulla Grande Uniforme in determinati servizi come quello “di picchetto” o quelli “di parata e d’onore” e sull’uniforme “di gala”.
La consegna dello Spadino
Lo spadino trae origine da un’antica tradizione marinara: era un’arma corta impiegata dai giovani Ufficiali che, a bordo delle unità navali, non potevano svolgere agilmente il loro servizio utilizzando la lunga sciabola tipica della fanteria.
Nel prosieguo dei tempi lo spadino divenne sinonimo di “giovane” o “allievo” Ufficiale, diffondendosi come tradizione anche tra le altre Armi. La Guardia di Finanza lo adottò per i propri Allievi Ufficiali agli inizi degli anni ’60.
È costituito da una lama d’acciaio con impugnatura in madreperla sovrastata dalla “torre italica”, per guardia due teste di grifone dorate; sul fodero, laminato d’oro come l’impugnatura, sono riportati lo stemma dell’Accademia, la “stella” distintiva della militarità ed ornamenti classici.
Allo spadino è indissolubilmente legata la cerimonia della sua consegna da parte degli Allievi “Anziani” ai “Cappelloni” (gli allievi del 1° anno di Accademia). La cerimonia, semplice nello stile, ma ricca di significato, mantiene fede alla tradizione dell’affiliazione accademica quale monito a seguire i valori fondanti dell’onestà, della lealtà, della professionalità, della responsabilità, del senso del dovere e dello spirito di sacrificio, riproponendoli quali costanti principi di riferimento. Dello spadino si dice inoltre, che colui (o colei) che lo estrae per primo dal fodero è legato sentimentalmente in maniera inscindibile al cadetto.
Da qui l’usanza di far sfoderare lo spadino la prima volta alla madre e, da quando le Accademie sono aperte al personale femminile, anche dal padre.
La festa del Mak π 100
Il termine “Mac π” deriva da “un modo di dire”, in uso tra i cadetti dell’Accademia militare di Torino nel 1840. In quell’anno un Decreto Regio fissò in tre anni la durata dei corsi per ottenere la nomina a sottotenente e, nell’apprendere tale disposizione, un allievo, Emanuele Balbo Bertone di Sambuy, esclamò in marcato accento piemontese: «Mac tre an!», ossia “Restano ancora soltanto tre anni!”. L’espressione ebbe fortuna. Gli anni furono tramutati in giorni: trecento per l’esattezza. Al mancare di 300 giorni prima, 100 poi, avveniva la “consegna della pazienza” o “consegna della stecca”. Per festeggiare gli ultimi giorni che li separavano dalla nomina ad Ufficiali, i cadetti organizzavano una festa danzante, durante la quale ragazze appena diciottenni, appartenenti all’alta borghesia, debuttavano in società. L’evento di gala permane anche ai nostri giorni attraverso una serata “elegante”, organizzata in onore degli Allievi Ufficiali del 2° anno che, a fronte di due anni di arduo impegno intellettuale e fisico, festeggiano il prossimo conseguimento del meritato grado di “Sottotenente”.
Consegna della Stecca
La stecca, oggi raro e prezioso cimelio che in tutti gli Istituti militari viene custodito gelosamente dagli Allievi Anziani, affonda le proprie origini nella prima metà del XIX secolo. Oggetto in uso tra il 1820 ed il 1940, la stecca (o lustrino, suo nome ufficiale) era, materialmente, un pezzo di legno di noce (delle dimensioni di cm 30,5 x 4,5 x 0,5) ad una delle cui estremità era presente un foro da cui proseguiva una fessura per tutta la lunghezza della stecca stessa.
La finalità era quella di accogliere i bottoni della giubba della divisa che venivano inseriti nel foro e poi fatti scivolare lungo la fessura. Una volta inseriti tutti i bottoni nella stecca era possibile lucidarli senza sporcare il tessuto (di qui il nome originario “lustrino”).
Costituente parte integrante del corredo individuale, il lustrino, o pazienza, diviene ben presto simbolo di militarità ed anzianità di servizio, diffondendosi ben presto in tutti gli Istituti Militari.
Presso di essi se ne conservava un esemplare (ovvero copia d’argento o d’avorio) nella sala dei cimeli storici e, ogni anno, veniva consegnato dal Capocorso anziano all’Allievo più giovane del 1° anno, nel giorno del MAC p300 (poi 100).
In questo senso gli “anziani”, goliardicamente, cedevano in consegna le fatiche accademiche ai “cappelloni”, che le ereditavano con la pazienza. A partire dal 1870 a tale termine cominciò a sostituirsi quello di “stecca”, evidente richiamo al materiale ed alla forma del lustrino.
La cerimonia ben presto si intrise di significato simbolico: il raggiunto traguardo della stelletta da Ufficiale da parte degli “anziani” e, contestualmente, il loro incitamento all’impegno rivolto ai “cappelloni”.
Tale cerimonia sopravvive inalterata, nella sostanza e nel significato, in molti Istituti Militari, tra cui l’Accademia della Guardia di Finanza.
Sulla stecca, ogni Corso di Accademia appone una copia lignea del proprio Crest, a memoria del proprio passaggio tra chi tale secolare cimelio ha ricevuto, conservato e tramandato. La stecca dell’Accademia è custodita presso la sala convegno degli Anziani.